Bagnata, accaldata, sudata e trafelata. No amico mio dolcissimo, non sono accoccolata sul petto depilato di Christian Grey dopo una notte di appassionati sculaccioni e nodi marinari, ma sto correndo sotto la pioggia verso il mio nuovo lavoro come cameriera in un bar-ristorante.
Per racimolare soldi, infatti, ho pensato che trovare una seconda mansione non poteva che farmi del bene. Perché io abbia scelto proprio uno dei lavori in cui posso dire con cognizione di causa di fare schifo (vedi “Sorridere e saltellare con le paturnie”, “La mia vita a luci rosse” o ancora “Promesse (piccanti) allettanti) è una di quelle domande che, come quella sull’età, non si fa a una signora. Soprattutto se la signora in questione ha già dato prova diverse volte di avere un problemuccio con il prendere decisioni assennate.
Fatto sta che mo siamo qui, io di nuovo con indosso un grembiule e il peso sulla coscienza di portare alimenti più o meno bollenti in giro per una stanza e tu a prendertela con il tuo animale domestico per il nervoso di dover leggere per l’ennesima volta questa squallida pappardella.
E se non avessi quasi assassinato male una signora con una brutta allergia all’acqua frizzante durante le prime 7 ore di lavoro, ti direi, amico, mio, che in fondo sta andando tutto molto meglio di quanto pensassi.
Un po’ perché alla fine della fiera, dopo anni e anni di clausura per smart working, vedere altri umani non è affatto male per non far vacillare la mia misantropia, e poi perché se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno ho già fatto qualche incontro interessante.
Per esempio c’è stato l’anziano amante dello sahaja yoga (che se non sai cosa sia, mi dispiace ma non posso proprio spiegartelo non essendomi interessata a sufficienza da andarlo a googlare). Quando i nostri destini si sono incrociati, stavo offendendo il Creatore per aver rovesciato una tazzina di caffè sul mio vassoio. Una scena che traslata in Italia sarebbe stata il pretesto perfetto per un esorcismo ma dato che siamo in Germania, e ciò significa che potrei passare tra i tavolini con la testa girata di 180 gradi come una civetta recitando l’Ave Maria al contrario passando inosservata, non ha scomposto nessuno tra clientela e personale.
Fatto sta che mentre terminavo di dare sembianze animali a Padre nostro, l’anziano mi chiede se io sia italiana. Alla mia risposta affermativa, il signore attempato comincia a rivelarmi particolari della sua vita che se non avesse deciso di sua volontà di raccontare non avrei mai avuto interesse a conoscere.
Però si sa, il cliente ha sempre ragione e quindi mi parcheggio davanti al suo tavolino in attesa che finisca di vomitare le sue generalità.
Dopo un breve preambolo sul come ha scoperto l’uso del fuoco e della ruota, mi spiega quindi che tra le tante cose che colorano la sua esistenza c’è uno spassionato amore per lo yoga, disciplina che l’ha spinto a comprare una proprietà immobiliare in Italia dove potersi ritirare nei mesi estivi.
Mi informa poi che organizza anche workshop sia nella sua tenuta a Coccia di Morto che a Dresda e ci tiene anche a dimostrarmelo aprendo la galleria dello smartphone e mostrandomi 134 fermoimmagine di signore attempate e devote.
Io in tutto ciò annuisco e sorrido sperando che tanto autocontrollo si traduca almeno in una lauta mancia. Ma come al solito la cordialità viene scambiata per interesse e il cliente canuto rincara la dose proponendomi una prova reale della potenza dello spirito che sonnecchia in me.
Dopo aver posato il vassoio per cui fino a pochi istanti prima stavo rischiando il massimo della pena all’inferno, mi porto come da istruzioni una mano sopra la testa e rispondo alle domande del mio aguzzino.
“Sente caldo o freddo?”
“Freddo”
“….dovrebbe sentire caldo”
Il vecchio scosso cambia esercizio facendomi mettere le mani parallele alle sue e riproponendomi il quesito al quale questa volta rispondo “Un po’ e un po’”.
L’anziano è basito e finalmente senza parole. Balbetta che avrei dovuto sentire il calore dello spirito fluire dal mio corpo tonico (tonico non l’ha detto a parole ma spero per lui che l’abbia almeno pensato) e che percepire freddo fosse prerogativa solo delle carcasse.
Io che ormai da anni sospetto di essere già morta dentro non mi scompongo, rimpacchetto le mani e chiedo che cosa avrei dovuto portagli da bere.
L’epilogo è che dopo aver appurato di essere solo un involucro incattivito dalla vita, avergli portato un cappuccino e accettato il dépliant della sua disciplina mi becco come ricompensa un misero euro di mancia, della serie che a saperlo alla domanda “sei Italiana” avrei dovuto rispondere “nein”.
Ma tutto è bene quel che finisce con una lezione di vita e anche nell’episodio che ti ho raccontato oggi, coccoloso lettore del mio cuore, abbiamo imparato che conversare con un signore che va per i 100 esclusivamente a scopi di lucro non solo è moralmente discutibile ma anche infruttuoso.