Bimbi coinquilini

Ci sono momenti in questa matrioska di brutte sorprese che goliardicamente chiamiamo vita, tanto commoventi quanto epifanici. E infatti di commozione mista a incredulità, un tocco di presa di coscienza e di un pizzico di malessere era fatto il forte sentimento che ho provato circa un paio di mesi fa mentre sostavo al buio in una reception di uno studentato per calciatori minorenni .

E io già mi vedo da anziana tentare raccontare questo aneddoto ai miei nipotini che già alle prime sillabe mi intimano di stare zitta perché non vogliono perdere ulteriore stima in nonna.

Ma considerato che io non prevedo di avere figli e che quando mi si zittisce parlo per presa di posizione, sento che è ora di raccontarti questo ennesimo episodio, mio dolce amico, starring una me che l’ha fatta di nuovo fuori dal vaso e con la simpatica partecipazione di un mucchio di teenager entusiasti nonché di un corpo insegnanti recuperato dopo una votazione ad alzata di mano tra i ricoverati di un istituto di igiene mentale

La storia comincia il giorno in cui corredata di soli due outfit esageratamente leggeri anche per una estate in Kenya sono sbarcata ad Arnstadt per seguire la scuola per orafi.

Una avventura della durata di circa due mesi a cui debbo presenziare per contratto un paio di volte all’anno.

Dopo aver depositato il mio corpo fuori dal treno e aver intuito che Arnstadt non è che l’ennesima zolla di terra arredata da un Dio alla frutta con le buone idee, arrivo alla mia nuova abitazione.

Come ti accennavo qualche avvincente paragrafo fa, il posto dove ubico e ubicherò fino a febbraio è uno studentato per calciatori dai 16 ai 21 anni e se ti stai chiedendo cosa ci faccia in una struttura che porta tali premesse una a cui viene dato più volte al giorno l’appellativo di signora, sappi che la domanda perplime anche la sottoscritta

Tornando a questa barzelletta raccontata male, ci sono io che arrivo corredata di bagagli e pessimismo e che trovando tutto spento e vuoto decido di parcheggiarmi alla reception. Dopo un’ora e mezzo, un tempo che pare lungo ma che se impiegato per ripercorrere tutte le scelte sbagliate prese nella vita scorre incredibilmente liscio, si presenta un giovane vestito da basket e la faccia intonsa di chi non è ancora cliente della Gillette.

Dopo aver soffocato l’istinto di fare raccomandazioni quali copriti e non sudare, ho vomitato tutta la verità circa la mia presenza in loco nella speranza che il garzone potesse perlomeno convenire con me che l’esistenza a tratti è bella ma nel complesso abbastanza dura.

E immagina la mia sorpresa, carissimo lettore, quando terminato di frignare ho scoperto che il mio confidente in bermuda non solo era un ottimo ascoltatore ma anche un dipendente stipendiato della struttura.

Appresa la felice notizia e senza scavare sulla legalità della faccenda, mi sono dunque fatta consegnare le chiavi della mia stanza. Chiavi che il maggiorenne per il rotto della cuffia mi appioppa senza neanche chiedermi la carta di identità, della serie che il mio vicino di camera potrebbe essere Eddie Murphy come un serial killer (e non saprei dirti quale delle due opzioni mi mette più a disagio).

E quindi ora sono qua (lo so che stai finendo la frase con „eeeeh già“…l’avrei fatto anche io al tuo posto) a condurre la mia nuova temporanea vita da studentessa liceale ma, come una Hanna Montana orfana di parrucchino biondo, con la frizzante componente della doppia personalità: di giorno a scuola e di pomeriggio occasionalmente a zumba tra le mamme single che si rimettono in carreggiata.

Quindi che dire amico mio. tutto è bene quel che finisce con il sospetto di essere scambiata per una del personale A.T.A e la certezza che nessun coreografo mi contatterà mai per avermi nel suo corpo di ballo.

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