Lezioni di vita nel reparto falegnameria

Mio carissimo lettore, ormai penso che tu lo sappia: se c’è una cosa che mi appaga in questo incontro di capoeira sui tacchi che noi simpaticamente chiamiamo esistenza, è scrivere aneddoti che già nel viverli non mi hanno particolarmente scossa e che su carta sono ancora più insipidi.

Grazie al cielo, con un trasloco e un cambio di lavoro, di episodi di questo calibro ne ho a bizzeffe. Potrei partire già solo dal magico racconto di come sono uscita di casa per comprare il latte e sono rientrata con una tazza con su scritto il nome “robert” solo perché in offerta. Oppure dell’emozionante episodio di una me che sceglie di montare i fornelli a due centimetri da una presa elettrica e che ogni volta che scalda anche solo il latte deve fare i conti con il batticuore. O ancora del giorno in cui ho scelto di affidarmi a un gentile dipendente del Brico per un consiglio circa la cucina e sono stata trattata come una che quando mangia una banana si attacca il bollino sulla fronte.

Dato che, secondo un amante del pareo, gli ultimi saranno i primi, partirei proprio dal pomeriggio in cui dopo lavoro ho deciso di piroettare verso il negozio di bricolage più vicino a casa per comprare un listello e chiudere lo spazio tra cucina e muro. Una faccenda che se si è provvisti di pollici opponibili non è di per sé così complicata, ma che può diventare insidiosa se si photoshoppano piccioni su opere d’arte nel proprio tempo libero

Per tornare al cuore della questione, arrivata nel punto vendita, mi dirigo con la sicurezza di una donna con la propria vita in mano e Miss Keta alle orecchie nel reparto falegnameria. Mentre arrivo al secondo ritornello di “Finimondo” (che se non conosci sarai una di quelle persone che possono mostrare le proprie playlist su Spotify senza morire dentro dalla vergogna) mi rendo conto che non so bene cosa io stia cercando.

Forse intenerito dallo sguardo vuoto con cui vago per la corsia, mi si avvicina un addetto alla vendita.

Dopo avermi chiesto se necessitassi un aiuto o se preferissi aggirarmi per tutto l’edificio con la verve di un minorenne che ha perso di vista la madre durante le compere, gli spiego il mio dilemma.

Terminata l’esposizione magistrale del quesito, il signore mi pare confuso come se al posto di una cliente in difficoltà stesse assistendo allo spettacolo di una mucca che suona la pianola. Ammetto che nel chiedergli un bastone e del silicone non mi sarei mai aspettata di turbarlo tanto

Mentre rifletto sull’ipotesi di dirgli che stavo solo scherzando e tornare alla ricerca del mio listello in solitaria, il commesso ritrovate le forze mi chiede “ma quanto è grande?”

Dal momento in cui mentre Dio mi assemblava ha combinato un disastro, gli spiego che non solo non ho una misura in centimetri da potergli dire ma che non avrei saputo indicargliela neanche pressappoco.

 Il gentilissimo operatore, dopo aver probabilmente assimilato il fatto di star parlando con un primate con le scarpe, mi suggerisce: “ma ha provato a spingere la cucina verso il muro?”

Al ché mio dolcissimo amico ammetto che mi sono sentita una punta offesa dal momento che, ok, fino a lì non ero proprio sembrata un’intellettuale, ma dubitare che io avessi scelto di mia sponte di mettere una mobile a una spanna dal muro per pura passione mi pareva troppo.

Dopo avergli spiegato che se fosse stato in mio potere avrei piazzato il tutto come si deve senza montare su quella manfrina, l’onesto lavoratore ha convenuto che allora non avrebbe proprio saputo come aiutarmi. Prima però di congedarmi vergine di listello come prima, decide di suggerirmi che in fondo non avrei dovuto per forza chiudere quel buco ma piuttosto avrei potuto usarlo a mio vantaggio, per esempio per pulire meglio.

Lì per lì se avessi avuto mani stroboscopiche in dotazione nessuno mi avrebbe fermato dal mettergliele al collo. Ma ripensandoci ora, seduta alla mia scrivania e mentre consumo un quarto pasto completo in orario pomeridiano, mi chiedo se dietro a quelle parole non ci fosse un pizzico di saggezza. Tipo un riadattamento della faccenda dei limoni con cui fare la limonata ma in chiave “bricolage”. Forse quel buon uomo non era solo un semplice commesso con poco problem solving ma un messia in divisa alla ricerca di qualcuno che avesse abbastanza sensibilità da interpretare i sottotesti dei suoi suggerimenti senza capo né coda. Ora che ho questa consapevolezza non vedo l’ora di recarmi nuovamente da lui in caso di tubature che perdono o fughe di gas nelle ore notturne.

E quindi finisce così l’avventura di oggi: con il lago di Garda ai piedi a ogni lavaggio di piatti ma con l’arricchimento di chi ha capito che la vita va presa per le corna.

In fondo una bella lezione di vita non è molto meglio di una sciocca soluzione pratica?

2 risposte a "Lezioni di vita nel reparto falegnameria"

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